Storia di uno specchio di pietra
Ai turisti che fanno di Castellammare del golfo solo una meta di passaggio, il castello arabo normanno può dare l’impressione di essere il simbolo di una città sita ai confini del trapanese. Chi la pensa così non fa un torto a nessuno, intendiamoci, semplicemente lo sguardo di questi viaggiatori potrebbe rivelarsi più superficiale del previsto.
Il castello è sì simbolo, ma non della sola Castellammare del golfo, bensì dell’intera isola: esso è infatti testimone e testimonianza di tutte le popolazioni che negli ultimi dieci secoli hanno attraversato la Sicilia, nonché specchio del continuo cambiamento storico-culturale dell’isola più grande del Mar Mediterraneo.
Sappiamo per certo che furono per prime le popolazioni arabe – intorno al IX secolo – a riprendere una precedente fortificazione e a costruire un vero e proprio fortino, un castello a ridosso del mare, collegato con la città grazie ad un ponte levatoio. In seguito furono i Normanni ad ampliare e fortificare ulteriormente la struttura; questo è il periodo in cui «Nessun castello è più forte di sito né meglio per la costruzione che questo qui […]», per utilizzare le parole del geografo arabo Idrisi. Si può quindi capire quanto fortunati furono gli Svevi a trovarsi questo edificio una volta arrivati in Sicilia, i quali, per migliorarne ulteriormente la capacità difensiva, lo cinsero di mura e vi innalzarono delle torri. Nel 1314 il proprietario diventa Roberto d’Angiò, per poi, due anni dopo, lasciare la proprietà alla corona aragonese. E furono proprio gli aragonesi a distruggere parte delle fortificazioni e una delle torri del castello. Dopo la sua ricostruzione la struttura divenne la dimora di famiglie nobili, legate all’imperatore. Alla fine del XVI secolo il castello contava tre torri (“San Giorgio”, “della Campana” e “il Baluardo) e ben due cinte murarie, infine l’antico ponte levatoio fu sostituito da un ponte in muratura ancora oggi esistente.
Ma la società siciliana cambia e, con essa, anche il ruolo e la morfologia del castello: terminati i tempi di sovrani e dittatori, arrivano i tempi della democrazia e della repubblica; non più protagonista di guerre, bensì custode di identità culturale.
Oggi al suo interno è possibile visitare il Polo Museale “La memoria del Mediterraneo”, il cui fine è ricordare, conservare e valorizzare il patrimonio storico, artistico ed etno-antropologico della città e del suo territorio.
Il Museo dell’acqua e dei mulini, il Museo delle attività produttive (Fondazione “Annalisa Buccellato”), il Museo archeologico e il Museo delle attività Marinare sono le quattro sezioni con cui è suddiviso l’intero polo.
Non più la vita della gente, bensì la loro identità oggi è da preservare.
Il conciapiatti, il calzolaio, il carradore, sono solo alcuni dei mestieri che oggi sono quasi o del tutto scomparsi; il contatto con le materie prime come il pane, la vite e l’uva, il formaggio, tutto ciò che oggi siamo abituati a trovare sugli scaffali di moderni supermercati.
Le antiche mura che per secoli hanno protetto sovrani e nobili famiglie, oggi si trovano in difesa di una quotidianità perduta ma mai dimenticata.